Ucraina, madre e figlia raccontano

Jana e sua madre ricordano l’inizio della guerra, il terrore provato dopo quel 24 febbraio, il pericolo scampato, e la decisione di partire verso ovest, dove hanno trovato ospitalità nel centro della Caritas-Spes.

C’è un prima e un dopo quel giovedì 24 febbraio 2022 per chi vive in Ucraina. Lo racconta la giovane Jana: “Gli eventi di quella giornata sono diventati un punto di non ritorno. Mi sono svegliata alle 7 del mattino, con la premonizione che sarebbe accaduto qualcosa di grave. Ho letto un messaggio: infatti, la guerra era iniziata. Ma sono stata fortunata a non sentire le esplosioni nel sonno. I miei compagni dell’università che vivevano vicino al luogo del bombardamento erano terribilmente spaventati. Io ero terrorizzata. I miei genitori stavano ancora dormendo, li ho svegliati, non potevano crederci. Ho chiesto loro di fare immediatamente le valigie, ero disperata, ma non hanno voluto”. La ragazza prova a convincere i genitori a lasciare Kiev e andare nella casa di campagna di Vorzel, ma il padre, un insegnante, viene chiamato per aiutare ad allestire un rifugio antiaereo nella scuola, “se papà non fosse rimasto, noi saremmo andati nell’epicentro dell’inferno e non sappiamo se saremmo sopravvissuti”.

La mamma di Jana ricorda le prime notti trascorse nel parcheggio sotterraneo: “Era spaventoso e freddo. Non potevamo stare lì tutta la notte. Le gambe facevano male per il freddo e tutto il corpo era indolenzito. Gli ascensori in casa erano spenti e quando la sirena suonava, prendevamo le nostre valigie e correvamo giù per le scale fino al rifugio. E così sono passati 10 giorni. Certo, ci siamo mobilitati tutti, ci siamo sostenuti a vicenda, ma le sirene sono continuate, le esplosioni si sono fatte più frequenti. E quando un razzo è esploso davanti ai miei occhi e ha colpito la torre della TV, ho capito che dovevo prendere una decisione e assumermi la responsabilità della mia famiglia.

A casa, a ogni suono, a ogni sirena, Jana rabbrividisce: “Ogni volta pensavo se era troppo tardi o no per andare al rifugio antiaereo. Abbiamo capito che restare a Kiev era pericoloso, quindi abbiamo deciso di andare in un posto sicuro. Sapevamo del centro della Caritas Spes ma non siamo partiti subito. Le strade devastate di Kiev erano piene di ingorghi. Ma a ogni checkpoint avevamo la sensazione di essere ben protetti. Quando, dopo tre giorni, siamo arrivati nell’Ucraina occidentale, abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Sembrava di essere in un altro Paese”.

Accolti da Caritas-Spes, Jana e la sua famiglia a poco a poco ritrovano un po’ di calma e, nonostante quello che stavano attraversando, non dimenticano la reciprocità e vorrebbero essere utili agli altri: Mia madre e io vorremmo fare del volontariato, in questo momento così difficile. Stiamo conoscendo le altre persone, e ascoltando le loro storie ci siamo rese conto che non siamo sole. La guerra è arrivata per tutti, ma nessuno l’aveva chiesta”.

L’arrivo in un posto più sicuro, è di sollievo anche per la mamma di Jana: “Il Signore ci ha portato al Centro Caritas Spes. Questo è soprattutto un luogo spirituale dove posso sempre assistere alla liturgia e pregare in cappella. È molto importante per me. Siamo molto grati a Caritas Spes Mission, tutto il meraviglioso staff, le suore e soprattutto suor Camilla per il loro cuore gentile. Fanno di tutto per farci sentire almeno un po’ a casa.

(Il testo è una sintesi dell’articolo apparso sul sito di Caritas-Spes, da cui è tratta anche la foto)

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