Tre giorni a spalare fango. Diario dalla Romagna

In soccorso degli alluvionati un gruppo di 15 volontari da Torino a Faenza e Solarolo

di Aurelio Molè

Il 2 giugno sarebbe stato un ottimo lungo fine settimana da sfruttare, agognato da tempo, per fare una gita fuori porta, al mare o in montagna, con il caldo, dopo le intense piogge, appena sopraggiunto. Decidono diversamente 15 persone di Torino, dai 19 ai 57 anni, con loro alcuni membri dei Focolari, giovani e adulti. Alcuni hanno esperienza di altre emergenze: il sisma de L’Aquila del 2009, l’alluvione in Liguria del 2011. Altri sono amici degli amici che hanno scelto di andare ad aiutare chi ha perso tutto, piuttosto che andare al mare. La loro meta è Faenza, in Romagna, in soccorso degli alluvionati.


Stivali prestati, pochi bagagli con lo stretto necessario
 e on the road again, di nuovo sulla strada, con lo spirito di avventura di non sapere cosa succederà. Le strade sono trafficate dai vacanzieri, nel fine settimana si sono mossi 15 milioni di italiani, e Bologna diventa un imbuto dove le code diventano lente e il tempo si allunga.  A Faenza sono accolti da Michele il capo scout. Saranno alloggiati in un oratorio, con le brande del ministero dell’Interno e tanti sfollati accolti in parrocchia.

Alla Caritas gli assegnano il primo compito: ripulire un bar pasticceria allagato dal seminterrato fino ad un metro di acqua nei locali al piano terra. I proprietari sono sconsolati e salutano appena. Le indicazioni sono sommarie, ma il lavoro è tanto. Non c’è tempo da perdere in convenevoli.

«Il lavoro consiste – spiega Monica, una delle volontarie – nel lavare tutte le stoviglie e gli attrezzi di lavoro, che sono ricoperti di fango e sporcati dai detriti penetrati dentro il locale dalla strada invasa dal fiume esondato in alcuni rioni della città, ma c’è una sorpresa. Lavando i pavimenti, quando si termina, bisogna ricominciare. Il pavimento restituisce continuamente lo sporco».

L’unione fa la forza, in cordata si prende coraggio l’uno dall’altro e le forze si moltiplicano. Non guasta e non è fuori luogo un po’ di musica di sottofondo che fa da colonna sonora alla loro avventura alleggerendo la fatica. I proprietari, solerti e silenziosi, lavorano tutto il giorno con i volontari.

«Finito il pomeriggio di servizio, salutiamo il signor Bruno, uno dei proprietari. Sorride, ci ringrazia. Il suo viso è più bello. Ci dice che abbiamo fatto molto per lui e la sua realtà. Lo salutiamo. Ci sembra più contento di quando siamo arrivati. Non abbiamo risolto molto, ma abbiamo fatto tutto quello che potevamo».

Piazza del Popolo di Faenza fa da splendido scenario, con la costruzione del loggiato di palazzo Manfredi del XV secolo, ad un po’ di relax dopo la cena preparata dai volontari della parrocchia dove sono ospitati. La notte la trascorrono nelle brande nella sala del catechismo. La doccia è solo con acqua fredda. Non importa sono giovani e forti.

Il 3 giugno il loro lavoro si svolge in un vivaio di Solarolo. La scena è desolante il fango anche qui era è abbondante. Un argine di un canale è pieno d’acqua e sovrasta la strada in modo inquietante. Fiori e piante del vivaio sono mescolate come in quadro astratto e sono sparse fino a tre chilometri di distanza trascinati dall’acqua fino al mare.

«I badili pesano – prosegue Monica – e il fango di più. Sotto le serre coperte di pannelli solari c’è una temperatura insopportabile. Ma non ci fermiamo, c’è troppo da fare. Spalare è un mestiere pesante. Siamo quasi tutti impiegati, infermieri, studenti o liberi professionisti. Al più alziamo 10 chili al giorno. Qualcuno si addormenta su una panca e lo svegliamo per il caffè. Quando si riprende, vediamo l’immensità del lavoro che è già stato fatto e di quel che ancora resta da fare. Il pomeriggio è ancora lungo. A fine lavori i proprietari e alcuni collaboratori portano un po’ di salame e qualche bottiglia per offrirci un aperitivo di fine giornata. Siamo così grati. Ci regalano anche una pianta di fiori a testa. Ci dicono che finora temevano non arrivassero volontari forti e resistenti, ma che con noi si sono felicemente stupiti. Orgogliosi, ma senza vanità, ripartiamo. Andiamo a farci la doccia fredda…».

Domenica 4 giugno, nel terzo ed ultimo giorno, devono liberare dal fango che pesa come il piombo alcune case private. Spalando emergono CD di Claudio Villa, vinili abbandonato, cartoni animati in VHS degli anni ’90. Un substrato di ricordi, emozioni, esperienze, vita vissuta in famiglia. Mescolati al fango ci sono detriti di ogni genere. Eppure, anche nel letame spunta un fiore.

«Sulla strada – racconta Monica – passa un gruppo di volontari con un carretto: ci portano panini e succhi e acqua per rinfrescarci. Un sogno. In quell’inferno, un panino al prosciutto… Ci sfamiamo con le delizie del territorio. Guardiamo l’orologio, sporco di fango. É tardi, dobbiamo partire verso casa, domani siamo in ufficio alla nostra scrivania. Salutiamo quelli che ci hanno aiutato a spalare e dopo una rapida sciacquata ci mettiamo in auto. Siamo stanchi, abbiamo ancora un po’ di ore di viaggio. Tutti rientrano dal mare, dal weekend di festa. Anche noi, abbiamo fatto festa. Abbiamo fatto la nostra parte, piccola. Qualcuno dice: “Vorrei tornare presto, c’è ancora bisogno”. Ci lasciamo un temporale alle spalle. Pensiamo alle case ancora martoriate dal fango.

Ciao Romagna, ci vediamo presto».

Valentina una delle volontarie commenta: «Abbiamo portato un po’ di vita a chi l’ha vista sgretolarsi tutta intera, e ora si trova a doverla ripulire teglia per teglia, macchinario per macchinario, con gli occhi bassi e senza sentir il peso degli anni e dei giorni che si susseguono.

Così, anche solo piccoli gesti diventano vita, vissuta e donata, quella vita che nasce nell’amore e nell’amore termina. Aiutando le persone senza voler niente in cambio, nemmeno un sorriso o una parola, quella stessa vita s’illumina d’amore anche durante il suo svolgimento, talvolta diluito nella quotidianità. Non esiste più io, tu, loro o voi, ma solo noi, che tutti riuniti sfidiamo la paura e la fatica per risollevarci dalle intemperie di un mondo affaticato.

È bello sentirsi parte di questa catena umana, vedere altri sporchi come te, stanchi molto di più, e sentire la solidarietà che scorre tra gli sguardi, in un mondo in cui si è ormai abituati a contare solo su se stessi, ti giri intorno e vedi che in realtà siamo tanti, stretti nella stessa esistenza che si cerca di salvare dai suoi stessi errori».

fonte: focolaritalia.it

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