Siria – Riconoscere l’altro è il primo passo per la rinascita

Le storie che arrivano dalla Siria ci raccontano di difficoltà che proviamo a superare partendo dalla relazione umana. I progetti di aiuto ai malati di Homs e Kafarbo, sostenuti anche da UBI – Unione buddhisti italiani, ci parlano delle sofferenze dei malati, ma soprattutto di reciprocità, tra operatori e beneficiari, in uno scambio ricco di […]

Le storie che arrivano dalla Siria ci raccontano di difficoltà che proviamo a superare partendo dalla relazione umana.

I progetti di aiuto ai malati di Homs e Kafarbo, sostenuti anche da UBI – Unione buddhisti italiani, ci parlano delle sofferenze dei malati, ma soprattutto di reciprocità, tra operatori e beneficiari, in uno scambio ricco di molteplici forme di risorse: beni materiali, tempo, competenze, idee, nuove relazioni, la scoperta della ricchezza dell’altro.

Non è facile alzarsi ogni giorno e riuscire a mettere da parte le proprie difficoltà per offrire sostegno, aiuto e un cuore aperto a chi passa le sue giornate tra grandi sofferenze. Incontrare persone che hanno perso davvero tutto, a causa della guerra, e che devono affrontare situazioni di grave malattia o indigenza, non è semplice. Quello che guida gli operatori e i volontari dei progetti assistenziali e sanitari in Siria, però, è la spinta a riscoprire la grande dignità e le grandi potenzialità di ogni persona, mortificate dalla guerra.

“Cerchiamo di entrare nella vita dell’altro per conoscere le sue ricchezze umane, stabiliamo con lui una relazione alla pari, cerchiamo di far nascere uno scambio, una reciprocità. E a partire da questa pari dignità proviamo a scambiare le nostre povertà e le nostre ricchezze. Tutti infatti hanno cuore, vita ed esperienze da donare e da condividere con gli altri.” Queste sono le parole che uno degli operatori del programma “Emergenza Siria” ci scrive per raccontarci del loro lavoro.

Questo è il fulcro del loro impegno e quello che, molto spesso, chiedono prima di tutto le persone che entrano in contatto con loro. Come Jamile, una donna vedova e senza figli, con gravi difficoltà: problemi economici, diabete (che le dà grandi difficoltà anche nel camminare), pressione alta e da poco malata anche di cancro; quando ha incontrato gli operatori del programma, ha prima di tutto parlato loro molto della sua solitudine. Oltre a fornirle le tante medicine che deve assumere, hanno quindi capito che la cosa più importante per lei sarebbe stata la loro presenza, le loro visite, il loro ascolto e il loro conforto.

“Molte delle persone che si rivolgono a noi – continua il racconto di un responsabile del progetto -hanno perso tutto, in primo luogo le case e si trovano a vivere in alloggi di fortuna. Nabih vive in una fattoria fuori città, in una casa nella quale mancano anche le cose fondamentali per una vita dignitosa e nonostante la dialisi, necessaria a causa di un cancro al rene, coltiva la poca terra a disposizione e ci ha chiesto di diffondere la voce per aiutarlo a cercare nuovi clienti, così da poter provvedere autonomamente alla sua famiglia”.

Anche Alina ha perso tutto e si trova in una condizione di estrema difficoltà. È sola e ha tre figlie, di cui una con disturbi mentali (spesso scappa di casa e Alina deve cercarla o aspettare che qualcuno la riporti). Le condizioni della sua casa e della sua famiglia sono davvero difficili. Dopo un primo sostegno alimentare e una piccola somma di denaro, è stata contattata una associazione che avrebbe potuto sostenerla in maniera più continuativa e lei, nella sua grande umiltà e forza d’animo, ha ringraziato e ha sottolineato che: “Mi avete aperto il vostro cuore anche se non sono cristiana, mi avete aiutato senza pregiudizi”.

Molto spesso, poi, sono gli stessi pazienti che regalano dei sorrisi e fanno guardare al futuro in maniera positiva. Tamam, per esempio, necessita di dialisi due volte alla settimana, viene da una famiglia indigente, eppure, nel suo cuore spera in un trapianto di reni che le possa restituire una vita normale, così che lei possa lavorare e aiutare a risollevare il suo paese e la sua gente.

E Maysa, che si sta riprendendo e ha ricominciato a prendersi cura di sé stessa e ora torna al centro con una grande vitalità anche per offrire un po’ del poco formaggio che produce, come segno di amicizia e riconoscenza. Oppure Nuha: da quando i suoi capelli hanno ricominciato a crescere, dopo le cure per il cancro, è una fonte di energia e positività ed è tornata a guardare alla vita con occhi nuovi.

Tutte queste esperienze dimostrano come ogni persona possa trovare in sé stessa e nel rapporto con gli altri la volontà di uscire dalla piaga della precarietà e la forza per rimettersi in cammino.

Articolo pubblicato in AMU Notizie 2019 3-4 di  Tamara Awwad – referente progetti AMU in Siria

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