Burundi, conoscere per accompagnare

La missione sul campo di Emanuela e Rosanna dell’AMU insieme all’équipe di Casobu era un po’ diversa dalle altre: “Non andremo a misurare i km di acquedotto costruiti, non andremo a contare né incontrare i gruppi di microcredito costituiti. Non raccoglieremo numeri, non parleremo dei risultati. In questa missione andremo ad incontrare e ad ascoltare le persone”.

Durante i giorni passati in Burundi abbiamo incontrato famiglie e rappresentanti delle istituzioni locali per cercare di comprendere quale siano le loro reali esigenze e quali siano le loro idee. Per trovare insieme il modo per accompagnare le comunità nel “loro” viaggio, mettendo a disposizione risorse, formazione, competenze, professionalità, rete sul territorio.

A Kyanza abbiamo, ad esempio, condiviso i risultati di un percorso fatto in questi mesi con istituzioni e famiglie, per individuare bisogni, aspettative, indicatori di cambiamento e l’impatto finale che si vuole generare.

Poi, abbiamo incontrato Emile, che ci ha sottolineato come il problema principale per la sua comunità sia l’accesso all’acqua, ma, ancora prima, l’impraticabilità delle strade: “Nessun camion o veicolo con il materiale per costruire un acquedotto potrebbe riuscire ad arrivare fin qui”. Da qui la consapevolezza e la voglia di mettersi in gioco. “Non possiamo aspettare che siano costruite le strade. Se voi ci aiutaste, comprando il materiale necessario, noi saremmo disposti a portarlo sulla testa per tutta la strada. E poi, qui, siamo disposti a mettere a disposizione tutta la manodopera necessaria a costruire. È davvero importante per noi avere l’acqua potabile e ci impegneremo al massimo perché questo avvenga”. Attualmente chi non ha accesso all’acqua potabile, deve raccogliere quella piovana o fare lunghi percorsi per andarla a prendere direttamente dal fiume. Acqua non controllata, spesso veicolo di malattie. Ea volte costosa: se le fonti sono molto lontane, ci dice Eucapie, bisogna pagare il trasporto in bici dei bidoni.

Jacqueline, invece è una “Maman Lumière” formata sui temi della nutrizione e responsabile di identificare i bambini malnutriti nel suo villaggio. Oggi, quasi tutte le altre famiglie della zona mangiano una sola volta al giorno. E ci sono giorni che non mangiano affatto.
Infine, uno degli incontri più emozionanti, sulla collina di Kinga, nella provincia di Kayanza, dove vivono 67 famiglie di Batwa (Pigmei) una comunità tra le più povere e isolate. “Nessuno era mai venuto fin qui, a sedersi con noi e a chiederci dei nostri bisogni” ci dice Jeanne, dopo una lunga e non facile chiacchierata, fatta di silenzi, risposte sussurrate, sguardi bassi e rassegnati, seduti sotto al sole di mezzogiorno.

È stato un tempo sospeso, infinito, quello passato a parlare con i Batwa. È stato davvero difficile guadagnare la loro fiducia, accogliere le loro parole, così semplici e così crude.

Eppure, anche qui, abbiamo riscontrato la voglia di cambiamento, la voglia di mettere a disposizione le proprie capacità e la necessità di essere accompagnati in questo percorso.

Il confronto con tutte le persone incontrate è stato davvero interessante, abbiamo capito come le situazioni percepite come problematiche siano le stesse per tutti. Abbiamo parlato di miglioramento delle strade per i collegamenti, di accesso all’acqua potabile e all’elettricità, della necessità di migliorare la resa agricola per una maggiore sicurezza alimentare.

Abbiamo capito come tutti abbiano idee molto chiare su come le vite di ciascuno potrebbero cambiare e svilupparsi se si risolvessero questi problemi.

Con una forte consapevolezza dei bisogni e un altrettanto forte volontà di fare, contribuire alla rimozione di questi ostacoli. Due elementi fondamentali perché si possano avviare progetti di sviluppo sostenibili e duraturi.

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