*di Stefano Comazzi – Presidente AMU – Azione per un Mondo nito Onlus
Leggo con stupore (ma nemmeno troppo) l’articolo di Info-cooperazione (purtroppo non ho trovato il testo integrale dell’intervista a Daniel Hitzig di Alliance Sud) sulla crisi dei finanziamenti alle ONG ed organizzazioni umanitarie svizzere che, causa tagli dei fondi e “concorrenza dall’estero” (sic), sono costrette a massicci licenziamenti di personale, accorpamenti e finanche chiusure. E tutto ciò in quello che era considerato una sorta di paradiso per queste organizzazioni (e non solo per queste, anzi …). Significative le affermazioni di Hitzig riportate nell’articolo, dove parla di stanchezza da parte dei donatori, nonostante una generale estrema professionalità nella raccolta fondi e della “credibilità” quale soluzione per farvi fronte. Vi è poi una nota sul taglio netto dei finanziamenti della Commissione Europea alle ONG elvetiche di emergenza e, ciliegina sulla torta, un taglio dei finanziamenti di 2,5 milioni di Franchi anche da parte del governo federale in omaggio alla sana politica del “prima gli svizzeri”, per cui se non ci sono i soldi per le pensioni, non bisogna sprecare risorse pubbliche per infruttuosi aiuti esteri.
Sono molte le considerazioni che potremmo trarre da queste prime notizie, per quanto sarebbe necessario poter leggere per intero il testo dell’intervista. È pacifico che, fatta salva la buona fede e l’impegno personale di alcuni che lavorano in queste organizzazioni, a livello di questo sistema i valori della solidarietà e fraternità sono solo parole vuote: si soffre della concorrenza di altri soggetti che in omaggio al principio “piatto ricco, mi ci ficco”, sono venuti in Svizzera per aumentare la loro raccolta fondi, ma che alla fine, per la crisi generale e per la stanchezza dei donatori, hanno saturato il mercato. Ora bisogna correre ai ripari e professionalizzare ancor più le tecniche di raccolta fondi e sbaragliare la concorrenza puntando sulla credibilità verso i potenziali donatori. La mia impressione è che alla fine sia la stessa cosa del vendere automobili di lusso, o profumi o qualsiasi altro genere di beni o servizi destinati ad un pubblico ricco e raffinato (almeno nelle apparenze). Non vi sorge il dubbio che possa anche trattarsi di vendere qualche buona causa per tacitare coscienze inquiete, o per ripulire l’immagine offuscata di qualche società o marchio rinomato?
Ovviamente tutto ciò non riguarda i tanti cittadini svizzeri che con generosità, impegno e dedizione vivono con coerenza una scelta di vita aperta alla solidarietà e fraternità universale e si adoperano concretamente con azioni a livello popolare e comunitario per sostenere tantissime iniziative di questo tipo. È piuttosto il sistema complessivo, che non è solo svizzero, ma generale, che ha trasformato il valore della solidarietà internazionale in un buon affare quando tutto andava per il meglio e che ora, in tempi di ristrettezze e difficoltà, corre ai ripari. E su questo possiamo dire che almeno non ci si è nascosti dietro ad altri falsi alibi, ma nel corrente clima politico si ritiene conveniente buttare la verità in faccia all’opinione pubblica: ecco perché viva la sincerità (che a mio sommesso avviso invece prima era mascherata e distorta).
Ma il meglio è nell’ultima parte dell’intervista dove si afferma placidamente che, cito testualmente, “il futuro della cooperazione allo sviluppo risiede nella collaborazione con i capitali privati e che sarà il settore privato profit a cambiare le sorti dei paesi poveri. Uno scenario a cui le organizzazioni della società civile non sono ancora pronte”. Ma ciò non è del tutto vero: in effetti i capitali privati hanno già cambiato le sorti di quelli che sono chiamati eufemisticamente i “paesi poveri”, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti: sfruttamento del colteno nella RDC, coltivazione di idrocarburi nel Golfo di Guinea con relative conseguenze ambientali, accaparramento delle terre agricole in molti paesi africani, deforestazione in Amazonia, incentivo ad un uso smodato e massiccio di pesticidi proibiti nei paesi di origine dei produttori, ecc. Ovviamente tutto ciò avviene necessariamente con la complicità di autorità locali, ma quando in qualche (raro) caso una multinazionale viene presa con le mani nella marmellata (della corruzione) e si avviano indagini per i reati di corruzione internazionale, apriti cielo: sono ostacoli al libero commercio e comunque un favore agli altri concorrenti che invece hanno mani libere (beati loro !!!).
Ebbene, fino ad ora abbiamo scherzato, ma adesso la festa sembra essere finita, per cui bando ai buoni sentimenti che prima si potevano vendere (non so quanto in buona fede) con profitto e successo. Ora le cose si fanno davvero sul serio e ovviamente l’ unica vera e solida certezza è che il capitale privato si deve poter muovere senza troppe regole (anzi, meglio senza del tutto) sul mitico ed infallibile mercato. Ma visto che le cose sono andate male, ovviamente un colpevole deve esserci, e la risposta è pronta: sono le agenzie umanitarie che non sono mai state messe in discussione nel passato. Così il cerchio si chiude e ritorniamo daccapo: tanto vale mettere la volpe a guardia del pollaio!!!
Ma non sarà solo questo il futuro, ne sono certo. Ci sono organizzazioni della società civile che hanno tenuto la schiena diritta, non si sono piegate o adattate a fare solo attività di emergenza quando era facile ottenere cospicui fondi pubblici per tali scopi, senza voler riflettere sule cause profonde degli squilibri mondiali, saltando da un’emergenza all’altra per inseguire le opportunità di finanziamento non intervenendo nel paziente lavoro di rafforzamento della società civile, sostenendo la sfida della cittadinanza attiva e partecipata come veri e sostenibili antidoti alla corruzione politica, al degrado ambientale, alla ingiusta distribuzione delle ricchezze, alla violazione dei diritti fondamentali e, quindi, anche alle guerre ed alle conseguenze della calamità naturali in paesi resi fragili da tutte queste cause.
Oppure hanno rifiutato di adottare un approccio eminentemente commerciale, per cui le donazioni sono frutto di tecniche commerciali che fanno leva sui sentimenti, le emozioni epidermiche ed occasionali, e nulla hanno a che vedere con un invito alla riflessione sulle cause delle ingiustizie, degli squilibri nelle condizioni di vita tra paesi ricchi e paesi poveri. Nel carosello dei finanziamenti pubblici, tante volte queste ONG sono state messe fuori gioco e “schiacciate” tra le istituzioni pubbliche e quegli enti che invece con grande efficacia pubblicitaria ma povertà di valori, si sono imposti nell’interlocuzione “di categoria”, mettendo in minoranza e marginalizzando le ONG che invece hanno tenuto fede ai loro principi e valori. Queste, che si sono sempre, sinceramente e faticosamente impegnate avendo questi valori come loro riferimento, che non hanno ricercato solo dei finanziatori, ma dei partners con i quali condividere valori ed impegni, avranno forse compiuto errori, ma di certo non dovranno ricorrere ad espedienti mediatici o tecniche pubblicitarie per conquistare la credibilità persa, e soprattutto possono andare fiere del loro passato e sperare nel futuro. E così anche di quelle imprese che operano con correttezza sul mercato, orientate da valori forte e giusti, attente alla collaborazione con il mondo associativo in una sinergia sana, fruttuosa e complementare che rende questa alleanza la vera soluzione nella collaborazione tra mondo imprenditoriale ed enti del Terzo Settore. Noi dell’AMU siamo fieri di avere la fiducia e la collaborazione delle imprese dell’Economia di Comunione, e così anche di altre imprese ed organizzazioni con i quali condividiamo gli stessi valori ed impegni.
Così non avremo bisogno di volpi (con tutto il rispetto per questi simpatici animali), né di polli da spennare, ma continueremo solo con la speranza che si possa finalmente sradicare la miseria e le ingiuste condizioni di vita nelle quali milioni e milioni di nostri simili sono intrappolati e che toglie loro ogni prospettiva di un futuro migliore.