[:it]“Qui in Siria, quasi ogni famiglia è provata, direttamente o indirettamente, dalla guerra e dalle sue conseguenze. C’è chi ha visto morire un marito, un fratello, un figlio. C’è chi non ha più notizie di un parente rapito. Tanti, soprattutto giovani, hanno lasciato la Siria perché qui non c’è futuro. Molti hanno perso la casa e sono profughi, o vivono da parenti o da amici, magari nelle montagne, lontano dalle città dove interi quartieri sono distrutti, o nei campi profughi in Libano e Giordania, o in Europa o in Canada…”[:]
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Una famiglia italiana incontra altre famiglie che ogni giorno si confrontano con il desiderio di ricostruire la propria terra.
“Qui in Siria, quasi ogni famiglia è provata, direttamente o indirettamente, dalla guerra e dalle sue conseguenze. C’è chi ha visto morire un marito, un fratello, un figlio. C’è chi non ha più notizie di un parente rapito. Tanti, soprattutto giovani, hanno lasciato la Siria perché qui non c’è futuro. Molti hanno perso la casa e sono profughi, o vivono da parenti o da amici, magari nelle montagne, lontano dalle città dove interi quartieri sono distrutti, o nei campi profughi in Libano e Giordania, o in Europa o in Canada…”
Lo sguardo che le famiglie della Siria ci hanno offerto del loro paese, in guerra dal 15 marzo 2011, è desolante.
Eppure gli occhi innocenti dei bambini, molti nati durante la guerra, sono pieni di speranza, anche se molte scuole sono distrutte e, si calcola, oltre due milioni di bambini quest’anno non potranno frequentare. Per questo sono fondamentali le azioni di sostegno scolastico, come quelle gestite dal Movimento dei Focolari in Siria, con l’aiuto di AMU e AFN, perché offrono a centinaia di bambini, ad Homs, Aleppo, Damasco, Kafarbo, Banias e Tartous un percorso educativo e ricreativo di grande valore. “I bambini non hanno bisogno soltanto di psicologi – ci ha spiegato Jean-Abdo Arbach, il vescovo di Homs – hanno bisogno di giocare, di giocare insieme, cristiani e mussulmani, perché nel gioco ritrovano serenità, fiducia in sé stessi, amicizia”. Quando i genitori si affacciano ai cancelli per riprendere i bambini ci si rende conto di come questa azione di sostegno educativo abbia anche un significativo ed inatteso ruolo sociale: le mamme, cristiane e musulmane, si incontrano, fanno conoscenza, dialogano, accendendo una sorprendente solidarietà fra famiglie così diverse.
Chiunque venga in Siria rimane colpito dalla straordinaria accoglienza di cui questo popolo è capace. Bastano pochi minuti e la tavola è imbandita: dolci al pistacchio, yogurt e l’immancabile caffè arabo! La dignità di questo popolo è unica: la Siria è stata la culla della civiltà mediorientale ed europea, i sumeri, la torre di Babele. Aleppo è considerata la città più antica del mondo con reperti che risalgono ad oltre 10.000 anni fa, crocevia di commercio e di transito sulla via della seta. La gente, anche la gente comune è consapevole di questo ruolo: da qui nasce la convinzione che finita la guerra e tolto l’embargo, questo popolo laborioso è capace di risorgere e di tornare alla vitalità di un tempo.
I cristiani, la cui presenza con la guerra si è ridotta dal 10 al 4 per cento, non sono soltanto eredi di una presenza viva dai tempi del vecchio e nuovo testamento, ma sono testimoni di pace, costruttori di dialogo fra mussulmani di diverse denominazioni, che spesso sono in conflitto fra di loro.
Incontriamo un gruppo di famiglie cristiane: sono determinati, lavorano, molti hanno figli piccoli, alcuni hanno ricostruito la loro casa o il loro appartamento distrutti dai colpi di mortai.
Le loro testimonianze ci colpiscono profondamente. “Quando mi sono sposata – ci racconta una giovane donna – per seguire mio marito che viveva e lavorava in un villaggio di montagna, ho lasciato Damasco. Le mie amiche non capivano perché avessi accettato di andare a vivere… fra le capre. Poi è scoppiata la guerra e molte persone hanno dovuto lasciare la città e rifugiarsi fra le montagne. Li abbiamo accolti ed aiutati, sono nate amicizie vere e profonde. Ora ho capito perché sono andata a vivere in montagna”.
Una giovane coppia con un bimbetto che ha iniziato da poco a sgambettare ci racconta della gravidanza; lui è nell’esercito e come molti suoi coetanei è in servizio obbligato da quando è scoppiata la guerra. “Un giorno ero impegnato in una difficile missione contro i ribelli quando mia moglie mi chiama al telefono dicendomi che è incinta. Ero felicissimo, ma al tempo stesso molto preoccupato per la gravità della nostra situazione. Ad un certo punto subiamo un attacco armato e il collega accanto a me viene ferito molto gravemente: prima di morire fra le mie braccia, piange dicendomi che non avrebbe mai visto il suo bambino che stava per nascere. In quel momento ho ripensato a mia moglie e al piccolo e mi sono chiesto se mai avrei avuto la fortuna di vederlo. Quando poi è nato e ha aperto gli occhi , in quegli occhi ho visto l’amore di Dio per me, per noi”.
Un’altra coppia ci racconta la sua storia: lui, cristiano, in servizio alla polizia, è dovuto andare a vivere, da un giorno all’altro, in una città totalmente sunnita. Lei lo ha seguito e lo ha sposato. “Non potevamo professare la nostra fede e così ho imparato a memoria le meditazioni di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, che hanno rappresentato per noi uno straordinario aiuto spirituale. Ora comando la polizia della mia città ed in questi anni ho visto morire molti mie colleghi, uccisi dalle autobombe.” Lei si dedica ai malati, in particolare quelli di cancro, senza distinzione di religione.
Non tutto il territorio siriano è in mano ai governativi e i fuochi di guerra non sono spenti. Quale sarà il futuro? Sono ancora le famiglie a darci la risposta: “Noi siriani abbiamo voglia di pace, vogliamo veder rinascere il nostro paese, vogliamo che venga tolto l’embargo, che si riaprano le frontiere. Molti connazionali che hanno dovuto lasciare il paese vorrebbero rientrare, ma le case, le strade, le scuole, le fabbriche sono ancora da ricostruire. Noi siamo rimasti perché sentiamo la responsabilità di cominciare la rinascita del nostro paese. Non tutto del nostro paese ci piace, ma è quello che ci è stato consegnato da Dio e per cui sentiamo di lavorare! Non abbandonateci!” .
Da Amu Notizie “Crescere, insieme” / luglio – dicembre 2018[:]