Continuiamo la pubblicazione del racconto di Carlo e Grazia Conversa sulla loro campagna medica nelle Ande peruviane.
Dicevamo che il problema più grosso è quello dell’isolamento… (>>>vedi parte prima)
« … e della mancanza di attrezzature. Mentre per le patologie più semplici è stato sufficiente l’esame clinico e la somministrazione di terapie idonee, per alcune patologie serie che abbiamo riscontrato o sospettato ci siamo trovati nell’impossibilità di effettuare accertamenti adeguati e diagnosi precise. Nel piccolo centro “ospedaliero” di Bolívar non è possibile effettuare nemmeno un emocromo o una glicemia! Quante situazioni dolorose ci sono state raccontate per l’impossibilità di recarsi in ospedale o di effettuare accertamenti!
Pertanto crediamo che una delle massime priorità sia quella di fornire ai centri un apparecchio per effettuare i più semplici esami di laboratorio, apparecchi non eccessivamente costosi (intorno a 2.500-3.000 euro), in modo da poter selezionare i casi più gravi e urgenti e trasferirli altrove.
Verrebbe spontaneo, ma ci sembra del tutto utopistico, un sogno per il momento, di poter usufruire di un elicottero per trasferire i pazienti più gravi!
E poi sarebbe importante sollecitare i politici a costruire un ponte che attraversi il rio Maranon, per far pervenire materiali edili, farmaci, attrezzature, apparecchi sanitari, merci utili alla sopravvivenza giornaliera.»
Dal punto di vita medico, Grazia e Carlo hanno scritto una relazione molto dettagliata, di cui omettiamo qui i particolari, con moltissime proposte per migliorare la situazione sanitaria di Bolívar: vedremo insieme cosa è possibile fare. Ora, però, vorremmo conoscere invece qualche altro aspetto del loro viaggio.
«Una realtà che ci ha colpito è stata la solitudine dei sacerdoti: sono pochi, vivono una realtà difficile, a volte di isolamento, anche se tanto uniti tra loro. Sarebbe utile, magari un mese l’anno, che qualcuno potesse dar loro una mano sostenendo anche la comunità locale.
Come succede anche in altre realtà, si intuisce che l’eroismo di pochi, pur essendo un esempio di vita che trascina e smuove i cuori, tuttavia merita a nostro parere di essere sostenuto da una organizzazione più capillare che preveda continuità di interventi, aggiornamento di comunità, uomini e donne sensibili ai problemi degli altri…
I viaggi in queste terre servono prima di tutto a noi per allargare i nostri orizzonti, immedesimarci nelle difficoltà dei nostri fratelli, ridimensionare i nostri bisogni, sentirci sempre più parte di un’unica famiglia!
Ci permettono di capire quanta sovrabbondanza inutile giri nelle nostre case; e quanto le nostre crisi (se di crisi si tratta!) nulla hanno a che vedere con la crisi permanente, esistenziale, che attanaglia tante popolazioni, che vivono ormai rassegnate a non avere un futuro. Questo aspetto della desolazione, della non speranza, dovrebbe essere il primum movens di iniziative e azioni concrete, quotidiane, che aiutino noi stessi, i nostri figli, i giovani, gli uomini di buona volontà, a liberarsi dai vincoli del consumismo e a donarsi; un modo concreto per uscire fuori di sé e “amare l’altrui patria come la propria”!»