Prima lavoravo in una ditta privata, vivevo con i miei genitori nel quartiere di Hamidiye e la nostra vita scorreva in maniera dignitosa e serena. La guerra ha sconvolto tutto, tutto è cambiato, capovolto.
Il primo anno fu davvero difficile, non ci sentivamo mai al sicuro e per questo alla fine abbiamo deciso di lasciare la nostra casa, così come fece la maggior parte delle persone che vivevano nel nostro quartiere. I miei genitori andarono a Damasco da mia sorella e io trovai rifugio a Kafarseta, un villaggio sul litorale, presso un centro di accoglienza per disabili fisici e mentali.
Li iniziò un periodo difficile e che ricordo con dolore. Nel centro ho incontrato 35 famiglie, molte anche del nostro quartiere, in una situazione tragica. Quello mi spinse a mettermi in gioco in prima persona aiutando le persone in difficoltà attorno a me.
Ho iniziato con la distribuzione di generi alimentari e coperte poi, con l’avvicinarsi dell’inverno ho iniziato a contattare amici e conoscenti per raccogliere vestiti da dare alle famiglie che non avevano modo di procurarseli.
Nel frattempo, ho conosciuto una famiglia sfollata da Hassake, regione Est della Siria: padre, madre e tre ragazze. Li visitavo spesso offrendo il mio aiuto ed è nata così una forte amicizia. Un giorno il padre mi disse: «la cosa più bella di questa guerra è di averti conosciuto».
Dopo due anni e mezzo, il nostro quartiere di Homs fu liberato, così sono ritornato. Prima però ricordo benissimo quando abbiamo dovuto fare un sopralluogo per vedere cosa fosse rimasto delle nostre abitazioni. Quel giorno è stato davvero duro. Quando sono arrivato nella nostra via ho visto la profondità e la gravità delle distruzioni, avevo in mano le chiavi del nostro appartamento, ero in tensione pensando a quando avrei aperto la porta e sarei rientrato.
Alzando gli occhi ho ben presto realizzato che non avrei avuto bisogno della chiave. Era tutto distrutto, porte e finestre completamente bruciate, le nostre cose sparse dappertutto. Come un bambino cercavo tra le macerie qualcosa, un ricordo, una foto, un pezzo della mia vita precedente, qualcosa che mi desse la sicurezza di un tempo.
Rabbia e dolore in un primo momento si sono mescolati, poi, riflettendo sul fatto che in quella tragedia ero comunque rimasto in vita, ringraziai Dio e cominciai a pensare a quando saremmo tornati per ricostruire e andare avanti.
È iniziata così un nuova tappa della “via crucis”, sono tornato ad abitare a Homs, da un amico che aveva la casa meno danneggiata. Per i primi mesi, la vita era quasi impossibile, senza corrente elettrica, né acqua, né cibo a sufficienza… Non sapevo da dove cominciare. Attorno solo distruzione…
Sono venuto a sapere a sapere che i padri Gesuiti offrivano un pasto caldo al giorno a chi avesse lavorato sul posto per ricostruire le case. Visto che ho una piccola e umile esperienza in cucina, mi sono offerto come chef e con una piccola squadra abbiamo iniziato ad offrire il pasto a circa 400 persone e dopo un mese a più di 1500, malgrado il numero e le poche risorse a disposizione. Abbiamo cucinato per 6 interi mesi finché le persone, man mano, hanno ricostruito e pulito le proprie case e potevano ricominciare a cucinare e mangiare in autonomia.
Dopo questa esperienza non fu facile trovare un lavoro, il costo della vita è altissimo e dovevo affittare una casa perché era impossibile ricostruire la casa della mia famiglia.
L’intervento dell’Opera di Maria, del Movimento dei Focolari, alla quale appartengo da 30 anni e che considero la mia seconda famiglia fu vitale. Mi hanno sostenuto economicamente e moralmente per uscire dalla mia crisi.
Nel 2017 è stato aperto un Centro sociale promosso dall’AMU-Movimento dei Focolari per sostenere le spese sanitarie e il sostegno psicologico degli ammalati di cancro o di insufficienza renale. Mi hanno chiesto di collaborare a questo progetto con uno stipendio mensile e ho accettato con grande entusiasmo: con il mio lavoro posso ora vivere dignitosamente e aiutare i tanti che ancora vivono situazioni di difficoltà e sofferenza in un Paese martoriato.