Giovani le cui vite vengono dalla strada, materiali scartati e recuperati dalla strada. La storia di un artigiano e un sacerdote che hanno scelto di far rifiorire la vita... dalla strada.
Giovani le cui vite vengono dalla strada, materiali scartati e recuperati dalla strada. La storia di un artigiano e un sacerdote che hanno scelto di far rifiorire la vita… dalla strada.
È il 2003 quando João Bosco parte dal Brasile per venire in Toscana a frequentare un corso di formazione per la lavorazione artigianale di borse. Tornato in patria comincia la sua attività a Maceiò. Passano i primi anni e incontra Padre Renato, missionario italiano da 30 anni in Brasile, che ha trovato “la sua strada” dando la vita per accogliere i “meniňos de rua”, i ragazzi di strada. La sua Casa do Menor accoglie decine di ragazzi e giovani che a causa delle disastrose situazioni familiari sono stati costretti a vivere fin da piccoli per la strada, alcuni anche da 3-4 anni di età. La loro vita è fatta di solitudine, colla da sniffare e droga per ingannare i crampi della fame, piccoli furti per sopravvivere, fughe dalla polizia e dalle bande armate che cercano di ucciderli per garantire “sicurezza” ai cittadini, prostituzione, violenza. Nella Casa do Menor trovano una “famiglia”, ascolto, dignità, possibilità di ricominciare a vivere, anche imparando pian piano un mestiere.
Così a João Bosco viene un’idea: mettere le sue competenze artigianali al servizio di questi ragazzi, insegnando loro il mestiere della lavorazione di borse. Non solo, pensa anche che la vita dei ragazzi potrebbe trovare un’occasione di rinascita nel ridare vita a materiali destinati in discarica, recuperandoli e lavorando così in modo ecologicamente sostenibile. Infine, Bosco vuole aderire con la sua attività all’Economia di Comunione (EdC, www.edc-online.org ) e sogna di farlo in uno dei poli imprenditoriali EdC del Brasile.
Con queste premesse, all’inizio del 2009 la commissione dell’EdC del Nord-Est brasiliano presenta all’AMU un progetto per la professionalizzazione dei ragazzi di strada, che coinvolge Bosco, un gruppo di ragazzi ospiti delle Case do Menor di Rio de Janeiro, Fortaleza e Santana do Ipanema ed il Polo EdC di Recife, che ospiterà l’iniziativa.
Il progetto viene valutato positivamente ed approvato con il cofinanziamento dell’AMU e delle imprese che aderiscono all’EdC nel mondo.
Iniziano le attività
A fine 2009 parte il progetto con la realizzazione del primo corso con un gruppo di 20 allievi. La materia prima utilizzata per la lavorazione si chiama “ecotelone”, un materiale ricavato dalla mescola di cotone riciclato e poliestere ottenuto da bottiglie di plastica riciclate, che in Brasile si utilizza per le coperture dei camion; le finiture delle borse sono realizzate con scarti della lavorazione del cuoio di altre imprese destinati al macero e con pelle di pesce recuperata dagli allevamenti che la butterebbero via.
Accanto alla formazione professionale si realizza un intenso percorso di formazione psico-sociale su diversi aspetti della salute, della sicurezza sul lavoro, del rispetto dell’ambiente, dei diritti umani, dell’etica del lavoro e sui principi e la pratica dell’Economia di Comunione, con l’accompagnamento e la supervisione di un’équipe di psicologi ed educatori.
Il Polo EdC nel quale si svolgono i corsi sorge in un’area circondata da favelas, o più precisamente assentamentos, terreni occupati da famiglie “sem terra” che, private della terra da coltivare, per vivere si trasferiscono nelle periferie delle metropoli brasiliane in cerca di lavoro, cadendo nelle trappole della miseria. Nasce così l’idea di allargare i corsi anche ai ragazzi provenienti da queste favelas e di avviare con gli allievi del corso concluso un primo nucleo produttivo. L’azienda prende il nome di “Dalla Strada”: tanto i giovani protagonisti del progetto, infatti, quanto le materie prime da loro utilizzate vengono dalla strada.
Bosco viene invitato a raccontare questa esperienza in varie città del Brasile in occasione di convegni e manifestazioni, e dall’incontro con alcuni aderenti all’EdC del Sud del Brasile nasce l’idea di replicarla nei dintorni di San Paolo. Qui i giovani allievi vengono selezionati fra gli abitanti dei “quilombolas” circostanti la città di Vargem Grande Paulista, favelas abitate da discendenti degli ex-schiavi africani deportati in Brasile all’epoca della colonizzazione.
Nel maggio 2010 iniziano anche qui i corsi professionali, con l’accompagnamento degli stessi giovani che avevano partecipato ai corsi a Recife, i quali mettono a disposizione ciò che hanno imparato, in una dinamica di reciprocità. L’obiettivo è insediare la produzione anche nel Polo EdC “Spartaco” a Vargem Grande Paulista. Nel frattempo un secondo e un terzo corso sulla lavorazione delle borse vengono realizzati a Recife.
Ultima tappa del progetto, in ordine di tempo, è la realizzazione di un corso per la lavorazione di sandali artigianali, a partire dalle stesse materie prime “di strada”, che si svolgerà nel 2011 a Recife.
Giovani protagonisti
La formazione è impostata sul metodo dell’imparare-facendo e favorisce la creatività e l’innovazione degli allievi, puntando a creare giovani protagonisti delle loro vite, da un punto di vista imprenditoriale e umano. Il progetto prevede un cammino che dovrebbe portare, in alcuni anni, ad includere i giovani anche nella gestione dell’azienda stessa o a decidere di avviare nuclei produttivi autonomi, collegati tra di essi in consorzio.
Come accennavamo, in questo come in altri progetti, l’AMU punta a coltivare rapporti di reciprocità, caratterizzati dal dare e ricevere. In quest’ottica, una parte del contributo erogato a sostegno del progetto verrà liberamente e progressivamente restituita dai nuclei produttivi ad un “fondo di reciprocità”, con l’obiettivo di sostenere in futuro altri progetti di questo tipo nel Nord Est del Brasile. Il fondo è gestito dalla locale commissione EdC in collaborazione con l’Associazione Nazionale brasiliana per un’Economia di Comunione (ANPEC).
Vi proponiamo di seguito alcuni stralci dell’esperienza di comunione e reciprocità che i giovani stanno vivendo in questo progetto, così come ce l’hanno raccontata:
«All’inizio di ogni giorno facciamo una riflessione sui temi dell’Economia di Comunione e vediamo insieme come migliorare nel viverla. Non si può amare colui che non si conosce: per questo a turno ciascuno dei giovani racconta la sua storia, ciò che significa per lui il progetto, ciò che lo motiva ad andare avanti, le scelte che fa e che vorrebbe fare, ecc.. ».
Pian piano si sviluppa la reciprocità: «Ogni giorno facciamo una pausa dal lavoro e uno spuntino. Un giorno uno dei giovani più timidi ha portato un dolce fatto da lui apposta per questo momento. Non solo il dolce era delizioso ma in quel momento abbiamo sentito particolarmente la gioia che nasce dalla condivisione dei talenti di tutti, nel dare e nel ricevere. Questa gioia evidentemente si vede anche fuori… infatti i genitori di una giovane, dopo poche settimane che lei lavorava qui, ci hanno invitato a cena e il papà a un certo punto ci ha chiesto: “Cos’è che fate in questo Polo? Come mai mia figlia è così felice? Ogni giorno torna a casa felice, cantando…».
A questo proposito uno dei giovani ci ha raccontato: «Se penso alla persona che ero prima di partecipare a questo progetto… non mi riconosco, mi sembra di vedere un altro, una persona disperata, che fa uso di droga, coinvolto con la criminalità, che ha bisogno di fare esperienze estreme per sentirsi vivo. Oggi ho imparato la bellezza del dare, della condivisione, e mi sento un’altra persona, una persona felice».